GENOVESI di ERICE!

Una bella escursione, all’interno di una splendida pausa estiva a Trapani: ERICE anzi monte Erice che la sovrasta!. Dopo giorni di scrutamenti, avvistamenti dalla costa, per capire se fosse il caso di affidarsi alla funivia per raggiungere la Rocca di Venere che si staglia nitida, per pochi giorni e soprattutto tramonti, a Erice! Finalmente raggiungiamo la vetta e nel tragitto, parlando con i “nativi” scopriamo che non possiamo mancare l’assaggio delle “genovesi”.




Infatti scopriamo che le genovesi ericine sono il dolce più rappresentativo di Erice.
Esistono diverse versioni di Genovesi ericine: quella con la crema e quella con la ricotta; entrambe sono deliziose e sono un must per tutti coloro che hanno la fortuna di visitare la splendida cittadina trapanese. Le abbiamo degustate nella pasticceria di via Vittorio Emanuele, nella parte centrale di Erice, che è rimasta come era qualche decennio addietro.
I dolci sono esposti in antiche vetrine di legno che contribuiscono a renderli ancora più accattivanti. Fra mostaccioli delle monache e frutta di Martorana c’è da perdersi; e anche se si potrebbe tentare di descrivere queste e altre squisitezze, non si riuscirebbe mai a far percepire il piacere che si prova anche solo soffermandosi davanti alle vetrine; l’assaggio è ancora meglio. Le tortine sono di pasta morbida, farcite con crema pasticcera. Mi ha incuriosito il nome, che in qualche modo le collegherebbe a Genova. Vedendole in vetrina, il pensiero è andato ad un marchio storico della pasticceria genovese. La ditta Panarello ha fra le sue specialità le cosiddette Panarelline, che altro non sono se non tortine simili a queste (non solo nell’aspetto) ripiene di crema allo zabaglione.



 La sosta da Maria Grammatica è davvero consigliabile, ci invoglia soprattutto l’esistenza del “giardino interno”, una sorta di Giardino segreto con un fico che ombreggia i tavolini sparsi, in legno, in ferro battuto … poche sedute al fresco …  e se si vuol portare a casa un ricordo goloso, i dolci in vendita durano circa un mese e resistono quasi tutti fuori dal frigo.
Maria è sempre lì, nel suo laboratorio, e ogni tanto, quando i clienti si accumulano, fa capolino dalla porta e si infila in mezzo al banco per dare una mano.

 Se poi le si chiede una copia del libro (in vendita presso il suo locale) si dimostra molto cortese e lo sigla con la sua firma.
Ma chi e' Maria??

Maria Grammatico è una signora di Erice che ha speso la propria vita a fare dolci. La sua storia è singolare, a tratti molto triste, ma l’epilogo è dolce come le sue “creature” e vale la pena accennarne. 
Maria perde il padre quando è ancora una bambina. La mamma rimane sola con cinque figli e in attesa del sesto; la sua modesta pensione non garantisce il pane per tutti e così Maria e una sorella più piccola finiscono nel convento di clausura di San Carlo, a Erice Il trauma è fortissimo e le due bimbe cercano di farsi forza a vicenda. 
Le suore che le ospitano sono specializzate nella produzione dei dolci e Maria, pian piano, impara l’arte e ne fa tesoro. Ma non è facile apprendere le tecniche più raffinate, perché le monache non si dimostrano propense a trasmettere la loro arte e Maria cerca di assimilare le conoscenze in materia quasi spiando le suore al lavoro.
Lasciato il convento comincia a preparare i dolci in casa e, dopo qualche tempo, si fa coraggio e apre un piccolo laboratorio che sarà il primo passo verso l’attuale successo. La storia sarebbe ancora lunga e se si è curiosi di conoscerla a fondo la si può leggere su un bel libro che la racconta passo passo (Mary Taylor Simeti “ Mandorle amare “ Palermo 2004).
Coadiuvata dai nipoti e da alcuni collaboratori, Maria oggi gestisce due negozi e un bar ed è sempre presente e attiva nel laboratorio. Oggi che le monache del San Carlo non ci sono più, la tradizione dei loro dolci, per fortuna, rimane nelle mani di Maria. 
È un piccolo, grande patrimonio che grazie a lei si è mantenuto in vita e potrà essere tramandato alle prossime generazioni.
La “dolce ritualità” che sta alla base  della creazione di questi dolci e’ la chiave del successo delle genovesi di Maria, in cui ogni passo è un “frammento di memoria” che si fonde con il presente fino ad ottenere un risultato perfetto che sfiora l’eccellenza, anzi no, la raggiunge.
Quando con le labbra si intacca quel dolce involucro di pasta frolla da cui fuoriesce, come lava incandescente,  la morbida crema calda si capisce perché sia convinzione comune che  le genovesi  si debbano mangiare  a  “scotta- labbra”. 
Genovesi
Questi sono forse i dolci più popolari fra i clienti di Maria: molti ericini vengono giornalmente per mangiare una genovese appena sfornata. Alla vista assomigliano ai dolci che i palermitani chiamano “minni di virgini” – un’allusione sia alla forma tondeggiante, sia alle suore del Monastero delle Vergini che usavano produrle.
A Catania ci mettono in cima una ciliegia e li chiamano “minni di Sant’Agata” in onore della santa patrona, vergine martire che viene rappresentata tenendo in mano un piatto con i seni recisi. Le genovesi si distinguono però per il ripieno di crema pasticcera.
1 ricetta pasta frolla  
1 ricetta crema pasticcera
Zucchero a velo per spolverare
Riscaldare il forno a 220° C.
Con le mani rotolare la pasta in salsicce di due cm di diametro. Tagliare in pezzi lunghi 8 cm, e stendere ciascuno con il matterello per formare rettangoli di 15 x 10 x ½ cm circa. Mettere 2 cucchiai di crema su metà d’ogni rettangolo, ripiegare l’altra metà, e premere tutto attorno ai bordi con le dita. Tagliare a cerchietto con uno stampino, un bicchiere o un tagliapasta. Posare su una teglia a distanza di circa 2,5 cm. Dorare nel forno circa 7 minuti.
Trasferire su una griglia e spolverare con zucchero a velo. È preferibile mangiarle mentre ancora tiepide.
Resa: circa 16 paste.

Continua la lettura per la ricetta della frolla e della crema!


Pasta frolla
La pasta frolla varia da cuoco a cuoco, soprattutto per quanto riguarda la quantità del grasso impiegato e la leggerezza o pesantezza che ne consegue. Quella di Maria, ricca senza essere pesante, si presta sia alle genovesi che alla crostata con ottimi risultati.
250 g di farina di grano duro
250 g di farina tipo 00
200 g di zucchero
200 g di burro o margarina, tagliato a pezzi
4 tuorli d’uovo
Qualche cucchiaio di acqua fredda
Mescolare le due qualità di farina e lo zucchero in una terrina grande. Aggiungere i pezzetti di burro e incorporare con una lama da pasticceria o con due coltelli. Incorporare i tuorli uno alla volta, e aggiungere tanta acqua quanto basta perché la pasta si riprenda. Versare su una superficie infarinata e formarne una palla. Maneggiare la pasta il meno possibile, altrimenti la pasta verrà dura. Avvolgere la palla con la pellicola e lasciarla riposare in frigo per almeno 30 minuti prima di stenderla. La pasta cruda si mantiene per una settimana nel frigo o per un mese nel freezer. Questa ricetta è sufficiente per foderare una teglia di 28-30 cm in diametro.

Crema pasticcera
Questa crema, semplice e delicata, serve soprattutto come ripieno per le genovesi, ma Maria l’adopera anche per crostate.
2 tuorli d’uova
150 g di zucchero
40 g amido (di grano o di mais)
½ litro di latte
Buccia di mezzo limone, grattugiata
In un tegame pesante, sbattere insieme i tuorli e lo zucchero con una frusta. Sciogliere l’amido in mezzo bicchiere del latte, poi aggiungerlo al latte rimanente, mescolando bene. Versare il tutto lentamente nel tegame con i tuorli, mescolando bene con la frusta.
Cuocere a fiamma bassa, mescolando continuamente, per 10-12 min. finché non diventi molto spesso, come un budino. Incorporare la buccia grattugiata.
Versare in una terrina e coprire con la pellicola, facendo si che la pellicola posi direttamente sulla crema, e lasciare raffreddare. Conservare in frigo per un massimo di 3 giorni. Se si dovesse separare, lavorare con la frusta finché non torni omogenea.
Resa: mezzo litro circa.

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